Counseling Lombalgico: Terapia Cognitivo-Comportamentale

La terapia cognitivo-comportamentale (TCC) è una psicoterapia sviluppata negli anni ’60 da A.T. Beck ed oggi adottata nella pratica clinica dalla maggior parte degli psicoterapeuti e operatori sanitari.
È una terapia strutturata, (il terapeuta istruisce il cliente ed assume attivamente il ruolo di “consigliere esperto”), di breve durata (cambiamenti significativi sono attesi entro i primi sei mesi) ed orientata al presente (è volta a risolvere i problemi attuali).
disfunzionali e i comportamenti disadattivi del cliente, producendo la riduzione e l’eliminazione del sintomo e apportando miglioramenti duraturi nel tempo. Essa è finalizzata a modificare i pensieri distorti, le emozioni
La TCC si basa sul modello cognitivo, che ipotizza che le emozioni e i comportamenti delle persone vengono influenzati dalla loro percezione degli eventi. Non è la situazione in sé a determinare direttamente ciò che le persone provano, ma è piuttosto il modo in cui esse interpretano certe esperienze. (Elaborazione)
Il tipico paziente che necessita di questo tipo di approccio è il lombalgico cronico a bassa ed alta disabilità. Di solito in questi pazienti le limitazioni fisiche sono strettamente collegate a quelle sociali e psicologiche, senza una netta prevalenza di un aspetto sull’altro.
All’origine dei disturbi vi è, un modo distorto di pensare, che influenza in modo negativo l’umore e il comportamento del paziente.
La TCC aiuta i pazienti ad identificare i loro dolori lombari e non e a valutare quanto essi siano realistici. Mettendo in luce le interpretazioni errate e proponendone delle alternative – ossia, delle spiegazioni più plausibili degli eventi – si produce una diminuzione quasi immediata dei sintomi.
Approcci cognitivo-comportamentali sembrerebbero facilitare la risoluzione del dolore cronico alla schiena. A stabilirlo è un trial pubblicato su Lancet che ha, inoltre, permesso di evidenziare i vantaggi economici di questo metodo.
L’indagine ha reclutato oltre 700 individui da 56 strutture sanitarie inglesi che, in aggiunta alla normale gestione della loro condizione dolorosa, sono stati randomizzati a seguire uno specifico programma basato su interventi di gruppo cognitivo-comportamentali o nessun trattamento aggiuntivo (gruppo controllo).
End-point (sintomo, che costituisce uno dei risultati obiettivo del processo) dello studio era rappresentato da specifici questionari che verificavano il grado di disabilità sulla base dell’aumento del punteggio “Roland Morris” Dopo 12 mesi di follow-up, nel gruppo sottoposto all’innovativo approccio, rispetto a quello controllo, sono state registrate minori condizioni dolorose  mediante la scala “Roland Morris” (2,4 vs 1,1 punti))..
Il miglioramento annuale della qualità della vita, definito dall’indice Qaly, è risultato superiore negli individui sottoposti a interventi cognitivo-comportamentali.
¢Un altro studio americano ha arruolato 349 pazienti (età 18-55 anni) affetti da lombalgia cronica da almeno un anno che potevano essere candidati all’intervento di fusione vertebrale. I partecipanti sono stati randomizzati a intervento di fusione oppure ad un programma riabilitativo intensivo basato soprattutto sulla terapia cognitiva-comportamentale.
A 24 mesi dalla randomizzazione erano disponibili i dati dell’81% dei partecipanti.
La sintomatologia (valutata tramite l’indice di disabilità Oswestry) migliorò in entrambi i gruppi tanto che gli autori concludono che non è emersa una chiara evidenza che la chirurgia sia preferibile all’intervento riabilitativo anche in considerazione  dei potenziali rischi chirurgici e dei costi.
Fonte:
Fairbank J et al. for the Spine Stabilisation Trial Group. Randomised controlled trial to compare surgical stabilisation of the lumbar spine with an intensive rehabilitation programme for patients with chronic low back pain: the MRC spine stabilisation trial. BMJ  2005 May 28; 330:1233
L’intervento riabilitativo multidisciplinare che contempli anche una terapia cognitivo-comportamentale sembra funzionare meglio della sola terapia conservativa tanto che le linee guida raccomandano questa strategia nei pazienti resistenti alla terapia standard.
L’équipe dell’Unità Operativa di Riabilitazione specialistica Neuromotoria, dell’Istituto Scientifico di Lissone ( MI ) dell’Irccs Fondazione Maugeri
partendo dall’attuale consensus scientifico internazionale che definisce la lombalgia comune una patologia Bio-psico-sociale.
E’ stata valutata l’efficacia dell’approccio riabilitativo di gruppo e ad impronta cognitivo comportamentale nei soggetti con lombalgia cronica, considerati a bassa disabilità.
E’ riconosciuto, infatti, che, oltre a fattori fisici, nelle lombalgie croniche entrano in gioco fattori psicologici e sociali che hanno un ruolo determinante sia nella fase di insorgenza del dolore che nel suo mantenimento.
E’stato quindi selezionato un gruppo di soggetti, attivi dal punto di vista lavorativo, che presentavano, anche altri, sintomi di patologie come ipertensione, sindrome ansiosa, etc. e che si sono rivolti all’Istituto Scientifico di Lissone per un mal di schiena persistente da più di 6 mesi. Tutti hanno partecipato a sedute bisettimanali di kinesiterapia ad impronta cognitivo-comportamentale della durata di un’ora ciascuna, per un totale di 10 incontri.

Durante le sedute rieducative i pazienti hanno eseguito esercizi di rilassamento miofasciale, di recupero articolare, in un’ottica stabilizzante cui è stata associata una rieducazione sia della postura che del respiro.
Il fulcro degli incontri era rappresentato dalla discussione sulle strategie conoscitive, educative, cognitive ( incluse le reazioni di coping, cioè le reazioni psicologiche con cui si reagisce agli eventi quotidiani ) e comportamentali, offrendo spazio alla discussione interattiva dei problemi psicosociali, comportamentali ed occupazionali, presentati dai pazienti.
I risultati, hanno evidenziato un miglioramento significativo del dolore, delle abilità motorie e posturali in tutti i soggetti; soprattutto si è riscontrata la presa di coscienza del problema e delle più idonee strategie comportamentali da parte dei pazienti che hanno portato ad un complessivo miglioramento dello stato di salute, nonostante non siano state utilizzate tecniche spiccatamente antalgiche quali le terapie farmacologiche, fisiche o infiltrative.
Lo studio ha rappresentato una conferma delle potenzialità dell’approccio cognitivo comportamentale associato al trattamento di kinesiterapia nel ridurre il dolore lombare, migliorando l’impatto sul dolore complessivo percepito.
Fonte: Irccs Fondazione Salvatore Maugeri, 2007
Le conoscenze sul dolore modificate al paziente, riguardano l’abilità di controllare il dolore ed il collegamento tra le emozioni ed il dolore. Suggeriamo che questo effetto risulti dalla ridefinizione del dolore successiva alla educazione neurofisiologica. In questa “informazione” il dolore viene definito come dipendente da complessi processi neurali e di adattamento e “traduzione” piuttosto che da una preminente informazione proveniente dalla patologia spinale.
Riconcettualizzando il dolore in questo modo, i pazienti rispondono meglio all’esposizione a strategie di intervento quali attività e movimenti di cui hanno paura, graduale incremento dell’attività nonostante il dolore e diretta modifica di processi mentali catastrofizzanti riguardo il dolore.

Uno studio del Gis (Gruppo d’interesse specifico) del Gruppo di Terapie Manuali si evidenza  la scarsa efficacia dell’intervento educativo secondo la back school nella gestione del dolore.
In una rewiew su programmi di educazione di gruppo in pazienti affetti da lombalgia Cohen et al hanno concluso che non esistevano effetti clinici importanti nell’intervento.
I risultati di questo studio suggeriscono che può essere addirittura riscontrato un effetto negativo nei programmi educativi convenzionali in una popolazione affetta da lombalgia, un effetto che probabilmente può spiegare alcuni degli effetti dei trattamenti osservati.
Effetti negativi nell’educazione convenzionale non sono sorprendenti: questi programmi concettualizzano la lombalgia cronica in termini di problema strutturale e sostengono che le strutture coinvolte sono suscettibili di danno a causa  delle lesioni.
Non prendendo in considerazione i meccanismi della nocicezione e del dolore i programmi educativi convenzionali trasmettono una concezione univoca sulla relazione tra dolore e danno tessutale. In questo senso i dati attuali concordano con quelli precedenti sostenendo che questa educazione enfatizza l’attenzione sul dolore e sull’utilità di cure sanitarie.

Conclusioni:

 Nella lombalgia cronica l’attenzione non deve esclusivamente concentrarsi sul dolore, il dolore  è solo una parte del quadro clinico, vi è anche una perdita di funzione, un comportamento alterato del fisico e atteggiamenti di “fragilità e paura.Il trattamento centrato sul dolore  è destinato a fallire, molti diversi approcci al dolore sono stati proposti e tentati senza benefici duraturi in ogni singolo paziente affetto da lombalgia cronica. l’approccio cognitivo-comportamentale con esercizi specifici, finalizzato al recupero delle limitazioni fisiche della schiena, al miglioramento funzionale e in grado di fornire al paziente le giuste strategie di gestione del problema (coping). Il  passo saliente di ogni approccio riabilitativo dovrebbe essere informare il paziente circa la prognosi. Dovrebbe essere chiarito che l’obiettivo del trattamento non è la scomparsa del dolore  ma migliorare la qualità di vita e ridurre la disabilità dando al paziente gli strumenti idonei per gestire la lombalgia cronica. È dimostrato che pazienti che gestiscono il dolore hanno una risposta diversa da quelli che lo subiscono e che mostrano una maggiore attivazione delle aree cerebrali coinvolte in una elaborazione emozionale del dolore.  Il paziente dovrebbe essere rassicurato che nonostante il dolore non ci sono patologie gravi, mali oscuri e anche se non siamo in grado di far scomparire completamente il dolore possiamo ridurne l’intensità e la frequenza delle riacutizzazioni. Imparare a gestire la situazione,  riducendo la disfunzione fisica, il de-condizionamento porterà a ridurre la disabilità e migliorare la qualità di vita.

I pazienti diventano i protagonisti del processo riabilitativo e si fanno carico in prima persona del loro problema.
Cambiare il loro approccio porta a migliori risultati.
Un buon counseling del paziente può sortire buoni risultati preliminari.
Stabilire obiettivi realistici permette di evitare una nuova delusione.

Lascia un commento